Diceva Pascal che la vita non è “un” sogno, ma è “il” sogno. Il sogno di una vita, aggiungerei io, in cui tutto è evanescente, fumoso, diafano e basta un soffio per disperderlo. Gregorio Piccoli ha saputo, con grandissima sensibilità, cogliere, direi intrappolare, questi attimi fuggenti, questi sospiri leggeri di vita. Tutta la Sua Arte è pervasa da questa visione in continua evoluzione, in continuo dispiegarsi.
Dalla rappresentazione naturalistica (betulle, bosco, Artemide) a quella antropomorfa (ultimo mondo, angelo, cattività) ricorre una nota comune di ricerca introspettiva: la sua abilità nel descrivere il corpo umano con una trascendenza che è un melange tra l’anatomico e lo spirituale, si riflette nella carnosità e pastosità delle forme e dei colori nel raccontare la Natura.
La Natura che non è solamente alberi cieli, fiori, ma è l’afflato vitale del trascendente, e Gregorio Piccoli ne è spettatore e testimone incantato, pieno di intimo amore e ammirazione per il soprannaturale che inonda tutto il creato, insieme all’uomo, oggetto e soggetto della sua luce. Nel “dolore” si evidenzia questa angosciosa ricerca di una risposta alla ragione e alla causa del dolore.